Abbiamo oggi con noi la
scrittrice Martina Fragale.
Benvenuta, Martina!
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Martina Fragale |
Il
tuo percorso di studi è stato piuttosto impegnativo… ti sei laureata in
Storia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli
Studi di Milano, con 110 e lode. Oltre a farti i miei personalissimi
complimenti, ti chiedo… eri già orientata alla scrittura oppure non ci
pensavi?
Ciao Rossana,
innanzitutto grazie per questo spazio: è per me un vero piacere essere qui. Per
rispondere alla tua domanda… sì, ho iniziato a scrivere abbastanza presto ma,
ovviamente, almeno fino ai vent’anni il mio approccio alla scrittura è stato sporadico
e, soprattutto, ludico: da piccola scrivevo poesie e lunghe commedie che mettevo
in scena a scuola, con la complicità dei miei compagni di classe. L’approccio
“professionale” alla scrittura è invece iniziato molto più tardi, durante i
miei studi universitari, quando ho cominciato a collaborare con diverse testate
giornalistiche per le quali mi occupavo – e mi occupo tutt’ora – di arte,
cultura e viaggi.
Hai
viaggiato moltissimo, visitando quasi tutta l’Europa. Cosa ti hanno
lasciato, queste esperienze? Quanto attingi da questi paesi, per creare le
tue storie?
Dunque, premetto subito
che rientro in toto nel profilo psicologico dell’ “autore tipo” perché sono
un’osservatrice incallita e un’inguaribile curiosa. L’esperienza del viaggio,
per me, risponde essenzialmente a queste due caratteristiche. Quando si vive
sempre all’interno dello stesso orizzonte, è inevitabile che l’approccio
quotidiano agli stessi luoghi e alle stesse persone affievolisca la nostra
capacità di entrare realmente in contatto con ciò che ci circonda: si guarda,
ma non si “vede”. Basta osservare le persone che camminano per strada per
rendersene conto: è come se ognuno fosse in trans, assorto nel proprio
autistico paesaggio interiore. L’abitudine è forse la più potente e letale
forma di assuefazione. Viaggiare per me ha sempre significato questo: resettare
il mondo sommerso delle sensazioni, spezzare l’anestesia dell’abitudine e
riaccendere la vista (quella vera). Nel corso delle mie scorribande, europee e
non, ho avuto la fortuna di entrare in contatto con luoghi e personaggi
insoliti, totalmente al di fuori dei consueti, triti e ritriti circuiti turistici:
ho conosciuto vagabondi, artisti di strada, persone con inestimabili e
variegati bagagli di esperienza sulle spalle. Ognuno di loro mi ha dato
qualcosa che si è trasformato in qualche modo in materia letteraria. D’altra
parte è così che nascono i personaggi di un libro: un tic nervoso, una battuta,
un profilo bizzarro si staccano dal referente reale e poco a poco si trasformano
in un’entità autonoma e completamente indipendente… quasi pirandelliana.
Quando
hai capito che volevi fortemente scrivere?
Quando ho cominciato a
viaggiare, direi. Da una parte – durante le mie scorribande, su e giù per
l’Europa – scrivevo articoli sui luoghi che visitavo e sulla gastronomia
locale, dall’altra tenevo dei taccuini di viaggio del tutto personali in cui
riportavo, assolutamente alla rinfusa, spezzoni di frasi sentite in giro,
impressioni personali, descrizioni di luoghi e persone. In parole povere: scrivo
articoli da più di dieci anni, sono autrice da poco… e grafomane da sempre.
Come mi capita spesso (sono bravissima a compilare accuratamente la lista della
spesa e a perderla cinque minuti dopo!), ho smarrito quasi tutti i miei appunti
di viaggio, ma i contenuti, fortunatamente, mi sono rimasti impressi. L’idea di
rielaborarne una parte in un libro è nata anni dopo, in realtà, ed è stata più
una casualità e una sfida che una decisione ponderata.
Mi
pare di aver inteso, leggendo la tua biografia, che anche la musica occupa
un posto decisamente importante nella tua vita. Ce ne parli?
Ho studiato pianoforte
e con una mezzosoprano ho fondato Les Bichmouch, un ensemble che tenta di
riproporre il repertorio dei café concert del primo Novecento (Kurt Weill,
Mischa Spolianski, chansonniers francesi e old jazz) nel refrattario mondo
musicale italiano. Aggiungo inoltre che ho sposato un musicista cileno e che in
casa nostra la musica si respira praticamente ogni giorno. La vita non va per
compartimenti stagni, quindi come potrai immaginare, fra musica e scrittura si
è stabilito in modo del tutto naturale un rapporto a filo doppio: i primi
articoli che ho pubblicato in ambito giornalistico, quando avevo poco più di
vent’anni, erano appunto articoli di critica musicale e anche per quanto
riguarda la narrativa, il discorso non è stato diverso. Quando scrivo, infatti,
per me è fondamentale la musicalità del periodare, la ricerca del giusto ritmo:
la differenza fra uno spartito e un libro (un buon libro) è in realtà più
sottile di quanto si immagini di primo acchito… o almeno, dovrebbe esserlo.
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Chez Alì |
“Chez Alì”,
il tuo primo romanzo, nasce dalla sintesi delle tue esperienze passate… ce
ne parli?
Dunque, partiamo dal titolo: Chez Alì
è un anonimo baretto milanese che di notte si trasforma in cabaret clandestino.
Fra le sue mura si muovono personaggi diversi: un anziano partigiano che parla
solo dialetto meneghino, l’egiziano Alì – ex attore del Cairo e gestore del bar
– un giovane gay animato da un brioso “temperamento artistico” e Magda, la
protagonista del romanzo, trentenne allo sbaraglio alle prese con il caotico
mondo del precariato lavorativo e con un fidanzato carrierista e assente. Tutto
funziona più o meno normalmente, fino al giorno in cui nella vita di Magda e
dei suoi amici irrompe un giovane sans papiers cileno di nome Manuel, rimasto
casualmente implicato in un oscuro traffico di cocaina. E qui cominciano i
guai… Bene, con la trama mi fermo qui. Come si può facilmente desumere, quello
che descrivo è un caotico universo umano, personaggi caratterizzati da diverse
esperienze di vita e da marcate differenze linguistiche, che risultano in fin
dei conti accomunati da due elementi: la voglia di comunicare, in barba alla
barriera dello spartiacque linguistico, e un identico senso di spaesamento nei
confronti della realtà attuale. In tutto questo, di echi delle mie esperienze
passate se ne trovano a iosa: risalgono al mio periodo parigino, o meglio, al
meraviglioso tuffo che mi sono concessa dieci anni fa nel cuore pulsante della
Parigi maghrebina. Ai tempi frequentavo assiduamente il caffè egiziano di rue
de l’Arbalète: passavo lunghi pomeriggi a bere tè alla menta e a fumare
narghilè mentre chiacchieravo con i proprietari, due ex attori del Cairo. Il
caffè di rue de l’Arbalète era stato uno di primi caffè egiziani di Parigi e
aveva aperto i battenti come caffè- teatro parecchi anni prima. C’è anche un
altro scorcio parigino di cui si può scorgere qualche eco nelle pagine del
romanzo: si tratta della Goutte d’Or, il quartiere algerino ai piedi di
Montmartre. All’epoca, bazzicavo soprattutto un locale della zona di Chateau
Rouge, dove il venerdì sera si riversava la folla multicolore degli artisti di
strada e venivano servite gratis paiolate fumanti di cous cous e carne di
montone. Ricordo lunghe serate passate in compagnia di un attore greco, un
violinista polacco, un attore ungherese… e una fiumana di franco algerini,
parigini fino al midollo ma convintissimi di essere più africani che francesi. Era
un ambiente vivacissimo, genuinamente internazionale, in cui ho vissuto sulla
mia pelle la bellezza dell’incontro con il diverso e ho imparato che la babele
linguistica non è nulla davanti alla voglia di comunicare. Tutto questo, nelle
pagine del libro, si trova a piene mani.
Altre esperienze che hanno dato forma al mio romanzo? Bé, l’impatto con il
mondo del precariato, il difficile tentativo di stare materialmente a galla in
questi tempi bui… l’incontro con la Milano latinoamericana e con le
problematiche legate al mondo dell’immigrazione.
A
chi consiglieresti di leggerlo e perché?
Credo e spero che il
pregio di “Chez Alì” consista soprattutto nella sua disarmante attualità.
Consiglio il libro a chi annaspa giorno dopo giorno alle prese con un lavoro
precario e con la necessità di portare a casa la michetta, a chiunque si senta
spiazzato e fuori luogo in una società sempre più prona alla legge della
giungla e sempre meno a misura d’uomo. E a tutti quelli che, nonostante i salti
mortali e le bastonate, continuano come me a sentirsi assurdamente e
stupidamente felici di remare controcorrente.
Programmi
futuri?
Al momento sono alle
prese con una difficile ma affascinante incursione nel mondo del teatro lirico:
se tutto andrà bene, lavorerò gomito a gomito con un musicista di straordinario
talento. Sto anche iniziando a
raccogliere idee e appunti (che certamente perderò!) per un nuovo
romanzo.
Grazie per essere stata
con noi e a presto!
Roxie
(Ricordo a chiunque volesse avere il suo spazio/intervista su questa stessa pagina che mi può scrivere a: info@roxieplace.com)