lunedì 8 aprile 2013

Intervista a Martina Fragale


Abbiamo oggi con noi la scrittrice Martina Fragale.
Benvenuta, Martina!

Martina Fragale
Il tuo percorso di studi è stato piuttosto impegnativo… ti sei laureata in Storia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano, con 110 e lode. Oltre a farti i miei personalissimi complimenti, ti chiedo… eri già orientata alla scrittura oppure non ci pensavi?

Ciao Rossana, innanzitutto grazie per questo spazio: è per me un vero piacere essere qui. Per rispondere alla tua domanda… sì, ho iniziato a scrivere abbastanza presto ma, ovviamente, almeno fino ai vent’anni il mio approccio alla scrittura è stato sporadico e, soprattutto, ludico: da piccola scrivevo poesie e lunghe commedie che mettevo in scena a scuola, con la complicità dei miei compagni di classe. L’approccio “professionale” alla scrittura è invece iniziato molto più tardi, durante i miei studi universitari, quando ho cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche per le quali mi occupavo – e mi occupo tutt’ora – di arte, cultura e viaggi.

Hai viaggiato moltissimo, visitando quasi tutta l’Europa. Cosa ti hanno lasciato, queste esperienze? Quanto attingi da questi paesi, per creare le tue storie?

Dunque, premetto subito che rientro in toto nel profilo psicologico dell’ “autore tipo” perché sono un’osservatrice incallita e un’inguaribile curiosa. L’esperienza del viaggio, per me, risponde essenzialmente a queste due caratteristiche. Quando si vive sempre all’interno dello stesso orizzonte, è inevitabile che l’approccio quotidiano agli stessi luoghi e alle stesse persone affievolisca la nostra capacità di entrare realmente in contatto con ciò che ci circonda: si guarda, ma non si “vede”. Basta osservare le persone che camminano per strada per rendersene conto: è come se ognuno fosse in trans, assorto nel proprio autistico paesaggio interiore. L’abitudine è forse la più potente e letale forma di assuefazione. Viaggiare per me ha sempre significato questo: resettare il mondo sommerso delle sensazioni, spezzare l’anestesia dell’abitudine e riaccendere la vista (quella vera). Nel corso delle mie scorribande, europee e non, ho avuto la fortuna di entrare in contatto con luoghi e personaggi insoliti, totalmente al di fuori dei consueti, triti e ritriti circuiti turistici: ho conosciuto vagabondi, artisti di strada, persone con inestimabili e variegati bagagli di esperienza sulle spalle. Ognuno di loro mi ha dato qualcosa che si è trasformato in qualche modo in materia letteraria. D’altra parte è così che nascono i personaggi di un libro: un tic nervoso, una battuta, un profilo bizzarro si staccano dal referente reale e poco a poco si trasformano in un’entità autonoma e completamente indipendente… quasi pirandelliana.

Quando hai capito che volevi fortemente scrivere?

Quando ho cominciato a viaggiare, direi. Da una parte – durante le mie scorribande, su e giù per l’Europa – scrivevo articoli sui luoghi che visitavo e sulla gastronomia locale, dall’altra tenevo dei taccuini di viaggio del tutto personali in cui riportavo, assolutamente alla rinfusa, spezzoni di frasi sentite in giro, impressioni personali, descrizioni di luoghi e persone. In parole povere: scrivo articoli da più di dieci anni, sono autrice da poco… e grafomane da sempre. Come mi capita spesso (sono bravissima a compilare accuratamente la lista della spesa e a perderla cinque minuti dopo!), ho smarrito quasi tutti i miei appunti di viaggio, ma i contenuti, fortunatamente, mi sono rimasti impressi. L’idea di rielaborarne una parte in un libro è nata anni dopo, in realtà, ed è stata più una casualità e una sfida che una decisione ponderata.

Mi pare di aver inteso, leggendo la tua biografia, che anche la musica occupa un posto decisamente importante nella tua vita. Ce ne parli?

Ho studiato pianoforte e con una mezzosoprano ho fondato Les Bichmouch, un ensemble che tenta di riproporre il repertorio dei café concert del primo Novecento (Kurt Weill, Mischa Spolianski, chansonniers francesi e old jazz) nel refrattario mondo musicale italiano. Aggiungo inoltre che ho sposato un musicista cileno e che in casa nostra la musica si respira praticamente ogni giorno. La vita non va per compartimenti stagni, quindi come potrai immaginare, fra musica e scrittura si è stabilito in modo del tutto naturale un rapporto a filo doppio: i primi articoli che ho pubblicato in ambito giornalistico, quando avevo poco più di vent’anni, erano appunto articoli di critica musicale e anche per quanto riguarda la narrativa, il discorso non è stato diverso. Quando scrivo, infatti, per me è fondamentale la musicalità del periodare, la ricerca del giusto ritmo: la differenza fra uno spartito e un libro (un buon libro) è in realtà più sottile di quanto si immagini di primo acchito… o almeno, dovrebbe esserlo.

Chez Alì
“Chez Alì”, il tuo primo romanzo, nasce dalla sintesi delle tue esperienze passate… ce ne parli?

Dunque, partiamo dal titolo: Chez Alì è un anonimo baretto milanese che di notte si trasforma in cabaret clandestino. Fra le sue mura si muovono personaggi diversi: un anziano partigiano che parla solo dialetto meneghino, l’egiziano Alì – ex attore del Cairo e gestore del bar – un giovane gay animato da un brioso “temperamento artistico” e Magda, la protagonista del romanzo, trentenne allo sbaraglio alle prese con il caotico mondo del precariato lavorativo e con un fidanzato carrierista e assente. Tutto funziona più o meno normalmente, fino al giorno in cui nella vita di Magda e dei suoi amici irrompe un giovane sans papiers cileno di nome Manuel, rimasto casualmente implicato in un oscuro traffico di cocaina. E qui cominciano i guai… Bene, con la trama mi fermo qui. Come si può facilmente desumere, quello che descrivo è un caotico universo umano, personaggi caratterizzati da diverse esperienze di vita e da marcate differenze linguistiche, che risultano in fin dei conti accomunati da due elementi: la voglia di comunicare, in barba alla barriera dello spartiacque linguistico, e un identico senso di spaesamento nei confronti della realtà attuale. In tutto questo, di echi delle mie esperienze passate se ne trovano a iosa: risalgono al mio periodo parigino, o meglio, al meraviglioso tuffo che mi sono concessa dieci anni fa nel cuore pulsante della Parigi maghrebina. Ai tempi frequentavo assiduamente il caffè egiziano di rue de l’Arbalète: passavo lunghi pomeriggi a bere tè alla menta e a fumare narghilè mentre chiacchieravo con i proprietari, due ex attori del Cairo. Il caffè di rue de l’Arbalète era stato uno di primi caffè egiziani di Parigi e aveva aperto i battenti come caffè- teatro parecchi anni prima. C’è anche un altro scorcio parigino di cui si può scorgere qualche eco nelle pagine del romanzo: si tratta della Goutte d’Or, il quartiere algerino ai piedi di Montmartre. All’epoca, bazzicavo soprattutto un locale della zona di Chateau Rouge, dove il venerdì sera si riversava la folla multicolore degli artisti di strada e venivano servite gratis paiolate fumanti di cous cous e carne di montone. Ricordo lunghe serate passate in compagnia di un attore greco, un violinista polacco, un attore ungherese… e una fiumana di franco algerini, parigini fino al midollo ma convintissimi di essere più africani che francesi. Era un ambiente vivacissimo, genuinamente internazionale, in cui ho vissuto sulla mia pelle la bellezza dell’incontro con il diverso e ho imparato che la babele linguistica non è nulla davanti alla voglia di comunicare. Tutto questo, nelle pagine del libro, si trova  a piene mani. Altre esperienze che hanno dato forma al mio romanzo? Bé, l’impatto con il mondo del precariato, il difficile tentativo di stare materialmente a galla in questi tempi bui… l’incontro con la Milano latinoamericana e con le problematiche legate al mondo dell’immigrazione.

A chi consiglieresti di leggerlo e perché?

Credo e spero che il pregio di “Chez Alì” consista soprattutto nella sua disarmante attualità. Consiglio il libro a chi annaspa giorno dopo giorno alle prese con un lavoro precario e con la necessità di portare a casa la michetta, a chiunque si senta spiazzato e fuori luogo in una società sempre più prona alla legge della giungla e sempre meno a misura d’uomo. E a tutti quelli che, nonostante i salti mortali e le bastonate, continuano come me a sentirsi assurdamente e stupidamente felici di remare controcorrente.

Programmi futuri?

Al momento sono alle prese con una difficile ma affascinante incursione nel mondo del teatro lirico: se tutto andrà bene, lavorerò gomito a gomito con un musicista di straordinario talento. Sto anche iniziando a  raccogliere idee e appunti (che certamente perderò!) per un nuovo romanzo.

Grazie per essere stata con noi e a presto!
Roxie 

(Ricordo a chiunque volesse avere il suo spazio/intervista su questa stessa pagina che mi può scrivere a: info@roxieplace.com)

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